Questo fraticello

Ero fratino nel Seminario Serafico di Sulmona (Aq). Stando tra i Cappuccini, qualcuno di essi ogni tanto ci parlava di Padre Pio, il frate in fama di santità della provincia religiosa si Foggia. Ci dicevano che portava le stimmate di Gesù nelle mani, nei piedi e nel costato. Faceva profezie, era dotato di carismi speciali ed era visitato da tanta gente ogni giorno. In quel periodao lessi e rilessi la prima biografia di San Leopoldo Mandic, che era morto nel 1942, due anni prima che io entrassi in seminario. Mi dicevo: non ho potuto conoscere Padre Leopoldo, ma Padre Pio è vivo! La brama di andare da lui per abbracciarlo, ricevere la sua benedizione e chiedergli di pregare per me, mi ardeva forte nel cuore. Mi accompagnava dalla mattina alla sera. Ma tanto in seminario, come noviziato e fino al sacerdozio, alla mia richiesta di andare da lui mi rispondevano, che a noi cappuccini era vietato, perché la nostra presenza poteva essere interpretata come propaganda a favore di Padre Pio. Questo non solo era assurdo, ma si capiva che era un pretesto giustificabile solo ai loro occhi. Mi rassegnavo collocando la cosa nell’ambito dell’obbedienza, ma la speranza di arrivare prima o poi a Padre Pio, era sempre forte. Ormai sacerdote, fui trasferito a Pescara. Conobbi una famiglia devotissima di Padre Pio. Spesso mi raccontavano dei loro viaggi a San Giovanni Rotondo e dei grandi segni di santità del Padre. Conoscendo il mio desiderio, un giorno mi invitarono ad andare in macchina con loro. Il superiore me lo permise, ma sotto la mia responsabilità. Negli anni del Seminario più volte mi era venuto in sogno. Un giorno mentre ero nel piazzale a giocare con i compagni, Padre Pio si affacciò da una finestra del convento e mi sorrideva, sventolando la mano in segno di gioioso saluto. La sera che giungemmo a San Giovanni Rotondo, accettai  di dormire in albergo per non disturbare a quell’ora i frati. Alle quattro del mattino eravamo a pregare in chiesa. Mi sono fermato in fondo alla chiesa. Mi sentivo indegno. Tutto mi sembrava già troppo. Una signora con gentilezza mi disse: – Padre, lei è un confratello di Padre Pio, perché si ferma qui? Vada, vada in sacrestia vicino a Padre Pio -. feci in tempo a vederlo e poi seguii la sua Messa dal matroneo con alcuni religiosi e vari medici della Casa Sollievo. Il Padre fece il ringraziamento e poi si recò nel confessionale. Io ero incerto sul come avvicinare Padre Pio. Ecco vedo venirmi incontro il M.R. Padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi. Mi conosceva tramite sua sorella, che viveva a Pescara.  – Vieni, vieni -, mi disse affettuosamente – ti presento a Padre Pio -. Entriamo in convento. Padre Pio stava tornando in cella, tenuto sottobraccio da due confratelli. Padre Raffaele mi presenta al Padre, dicendo: – Padre spirituale, questo fraticello viene dall’Abruzzo e si raccomanda alle vostre preghiere -. Mi ritrovo sottobraccio al Padre, che prima mi scruta con due occhioni neri fino alle midolla e poi mi dice: – Ah, sì? – e mi sfiora il viso con un ceffone. Io avevo sempre pensato: se mai arriverò a Padre Pio, la prima cosa che merito è un ceffone. Ma il Padre immediatamente trasforma quel gesto in una carezza dolcissima, sfiorando il mio viso; poi stringe il mio braccio contro le sue costole così forte da sembrare che non l’avrei potuto più staccare. E’ quello che farò fino alla morte.


Suona il vespro

Ero cappellano dell’ONARMO (Opera Nazionale Assistenza Religiosa Morale Operai). Programmavo il mio lavoro di assistenza settimana per settimana. Un’ “Opera” impegnativa e benefica, voluta dalla Santa Sede per portare l’assistenza spirituale nel mondo operaio. Per oltre venti anni ho trascorso giorni e notti nelle fabbriche, nelle ferrovie e nelle aziende della città di Pescara. La nomina veniva direttamente dal Vescovo ordinario. Questo mi ha dato la possibilità di portare molte volte con pullman e con mezzi privati tanti operai da Padre Pio. Gli operai spesso venivano insieme alle proprie famiglie. Partecipavano i dirigenti delle ferrovie, i direttori di aziende e i proprietari di imprese. Molti di loro poi diventavano bravi testimoni di Padre Pio, suoi figli spirituali e attivi collaboratori nei Gruppi di Preghiera. Quasi settimanalmente potevo essere vicino al Padre. Se ero solo andavo con una ” cinquecento FIAT “, attempata sì, ma che mai mi ha lasciato per strada. Impiegavo solitamente tre ore, pur premendo abbastanza l’acceleratore. Per viaggiare più tranquillo chiesi a Padre Pio di proteggermi nella guida. Egli mi rispose: – Sì, così se mandi qualcuno nel fosso, puoi dire che sono stato io! -. Gli dissi: – Padre, mi affido a lei, perché al fosso non ci voglio andare io e non ci voglio mandare nessuno -. Sorridemmo insieme. In uno di questi viaggi arrivai alle due del pomeriggio. Sapevo che a quell’ora il Padre era solo a pregare sulla veranda, mentre i confratelli si godevano un riposino pomeridiano per poi riprendere con più energia l’impegno della giornata, lì sempre lunga e faticosa. Non suonai il campanello, per nondisturbare. In cuor mio dissi al Padre: mandami qualcuno ad aprire, così posso stare vicino a te, poi, come suonerà la campana del vespro, io tornerò fuori e busserò per entrare. Sento subito un passo alle mie spalle: è un infermiere della Casa Sollievo. Tira fuori la chiave ed apre. Si fa da un lato e mi dice: – Padre, si accomodi -. Raggiungo il Padre. Lo saluto con immensa gioia e lo ringrazio. Egli mi abbraccia e mi invita a sedermi accanto a lui. Fino alle tre rimango a pregare anch’io. Eravamo soli. Alle quindici puntualmente suona la campana del vespro. Io non mi muovevo da lì. Dopo qualche minuto Padre Pio si volta verso di me con una sguardo intenso e mi dice: – Hai sentito la campana del vespro? – Mi alzai e tornai fuori come promesso; per poi suonare e rientrare.


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