– Gesù è triste, ma ci ama -

Siamo giunti alla settimana santa, siamo giunti al martedì santo; ancora poche ore e si consumerà il mistero dell’amore. Esso sarà portato a compimento, umanamente nel modo più tragico, divinamente nel modo più opportuno. La tragicità è manifestata da un grande dolore, il più grande dolore, un dolore che porta in sé tutti i dolori del mondo…”

San Pio scriveva:

Egli è estremamente triste. L’anima sua è in preda ad indescrivibile amarezza… Notte la più orrenda, che non ne sorgerà mai una eguale!… Che contrasto , o Gesù, con la bella notte del tuo Natale, quando gli angeli tripudianti annunziarono la pace, cantando gloria. Ed ora parmi che mesti ti fanno corona, tenendosi a rispettosa distanza, come rispettando la suprema angoscia del tuo spirito. È questo il luogo ove giunse Gesù per pregare. Egli priva l’umanità sacrosanta della forza che le conferiva la divinità, sottoponendola a tristezza indefinibile, a debolezza estrema, a mestizia ed abbandoni, a mortale angoscia. (Ep.IV, 893/894)

Riflessione:

Certo, un grande contrasto tra la notte di Natale e la notte nell’orto degli ulivi. In quella notte gli angeli cantano gloria, in questa notte gli angeli lo consolano dal dolore, ma Gesù continua a pregare, non interrompe il suo rapporto col Padre, anzi, tanto più si avvicina la fine, tanto più lo invoca, fino a gridare quell’abbandono. Certo, è un’angoscia mortale, è un dolore grande, ma è un dolore d’amore e quanto più grande è l’amore, tanto più grande è il dolore: se l’amore è infinito, il dolore è infinito. Basta soffermarsi su queste parole: ” il dolore di Dio”. Chissà perché queste parole così colme d’amore non ci fanno ravvedere. Annunziando queste cose, spesso si rimane tali e quali, come se nulla fosse accaduto e invece tutto è accaduto. Quanto c’è da cambiare nella nostra vita!

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Nell’insieme dei tanti dolori di quelle ore, di certo tra i peggiori c’è il tradimento di quell’amico, di quel discepolo, uno dei dodici, uno dei prediletti. Ma come è possibile, un privilegiato pronto a tradire? Un uomo che si era nutrito tante volte di quella parola salvifica. Chissà cosa aveva nella testa! Chissà cosa sperava! Probabilmente non proprio la sete di denaro, ma forse voleva costringere Gesù a reagire, ad intervenire con la forza. Di certo questo si aspettava, non aveva capito il messaggio. Gesù nell’orto degli ulivi vede ciò che sta per accadere.

San Pio scriveva:

Vede egli per prima Giuda, discepolo suo, tanto da lui amato, che lo vende per sole poche monete, che è per appressarsi all’Orto per tradirlo e consegnarlo in mano dei nemici. Lui!…l’amico, il discepolo che poco innanzi aveva satollato delle sue carni…, prostrato dinanzi a lui gli aveva lavati i piedi e stretti al suo cuore, li aveva con fraterna tenerezza baciati, come se a forza di amore volesse distoglierlo dall’empio e sacrilego proposito o almeno che, commesso l’insano delitto, rientrato in sé, rammentandosi delle tante prove d’amore, si fosse pentito e salvato. Ma no, egli si perde e Gesù piange la sua volontaria perdita. (Ep.IV,894)

Riflessione:

Giuda, un amico, un discepolo, che si era nutrito della sua parola, che in quell’ultima cena si era nutrito del corpo e del sangue di Cristo, è pronto al tradimento e non è stato capace di confidare nell’amore di Dio che perdona ogni peccato. Nessun pentimento, solo disperazione. Probabilmente le cose non andarono come aveva sperato, probabilmente Giuda voleva solo generare una situazione ideale affinché Gesù potesse reagire e finalmente manifestare la sua forza, ma la forza di Dio si manifesta proprio allora, lasciandosi baciare, lasciandosi arrestare, lasciandosi condannare, lasciandosi schernire, oltraggiare.

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L’esperienza della condanna lo avrà certamente sconvolto; una cosa è pensarla, una cosa è viverla, una cosa è immaginarla, profetizzarla, una cosa è trovarcisi.

San Pio scriveva:

Si vede legato, trascinato dai suoi nemici per le vie di Gerusalemme, per quelle stesse vie ove pochi giorni innanzi era passato trionfalmente acclamato quale Messia… Si vede dinanzi ai Pontefici percosso, dichiarato da essi reo di morte. Lui, l’autore della vita, si vede condotto da un tribunale all’altro in presenza di giudici che lo condannano. Vede il popolo suo, da lui tanto amato e beneficato, che l’insulta, lo maltratta e con urli infernali, con fischi e schiamazzi ne chiede la morte e la morte di croce. (Ep.IV,894/895). Egli è prostrato col volto sulla terra dinanzi alla maestà del padre suo. Quella divina faccia, che tiene estasiati in eterna ammirazione di sua bellezza i celesti comprensori è su la terra tutta sfigurata. Mio Dio! Mio Gesù! Non sei tu il Dio del cielo e della terra, eguale in tutto e per tutto al Padre tuo, che ti umilii sino al punto di perdere quasi le sembianze dell’uomo?Ah! sì, lo comprendo, è per insegnare a me superbo che per trattare col cielo devo inabissarmi nel centro della terra. (Ep.IV,896/897)

Riflessione:

E’ proprio così: quelle strade che l’avevano visto colmato di gloria, ora lo vedono con la croce sulle spalle. Da re a condannato a morte, da libero a ultimo degli uomini e quel popolo che Lui ha tanto amato, al quale è stato sempre vicino, quel popolo che Lui ha sempre soccorso, ora è pronto a condannarlo per reati mai commessi. Egli è condannato dai loro stessi reati, dai loro stessi peccati. Forse anche per questo non voleva che se ne venisse a conoscenza. E’ Gesù che cade sotto il peso della croce, è Gesù che riceve gli insulti, è Gesù che viene straziato, distrutto, è Gesù sfigurato, è quel Gesù al quale hanno tentato di far perdere ogni dignità, ma è il figlio di Dio. E proprio Gesù, con le sembianze dell’uomo perso, cosa insegna? Insegna l’umiltà, insegna al superbo a chinare la testa, all’egoista a guardare l’altro, a colui che è chiuso in se stesso a spalancare il cuore.

Tratto dall’Epistolario IV, II edizione anno 1984 a cura di Melchiorre da Pobladura e Alessandro da Ripabottoni.

Le riflessioni sono del nostro Parroco don Emilio Lonzi

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