Si era nel primo pomeriggio. Dovevo ripartire. Il Padre era costretto a letto da una febbre altissima. Respirava con affanno e tossiva quasi di continuo. Un confratello premurosamente era accanto a lui. Si prodigava per aiutarlo. Fra l’altro gli aveva messo sopra parecchie coperte, ruvide e pesanti, quelle che si usavano nei conventi. Almeno, così, sudando un po’ di più, la temperatura poteva via via abbassarsi. Ero lì in piedi nel corridoio davanti alla porta della sua cella. Lo vedevo soffrire. Disteso sotto quel cumulo di coperte, doveva restare immobile e paziente, per sperare in un graduale miglioramento. Il desiderio di salutarlo era forte, ma me ne astenevo per non affaticarlo. Anche il confratello mi pregò di non farlo. Improvvisamente il telefono, nella saletta in fondo al corridoio, incomincia a squillare e nessuno va a rispondere. Il confratello, che assiste il Padre, è costretto ad andare lui. Nel frattempo il Padre spinge da un lato le coperte, scende dal letto e appoggiandosi alla parete e alla porta, viene verso di me, vestito com’è con l’abito. Mi benedice, mi sorride e, abbracciandomi, dice quasi sottovoce:  “Mò te ne può ji ” ( Adesso te ne puoi andare!) . Carità dei santi!

Squisita carità

Signore della vita,

sei Tu, che doni ai santi

la carità squisita.

In essi Tu dimostri

la forza del Vangelo.


La carità, regina

di tutte le virtù,

riscalda come sole

e asciuga la palude

delle miserie umane.


La carità disarma

il braccio dei potenti.

Procura pane ai poveri,

ai deboli speranza,

ai piccoli un futuro.


Tu, Padre, con la febbre

sei sceso giù dal letto.

Sei giunto fino a me

e nell’abbraccio hai detto:

” Adesso puoi andare “.


M’hai dato tanta pace.

O dolce Padre mio,

col sangue e con l’amore

acquisti su nel cielo

l’eterno tuo tesoro.




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