– Niente ti turbi -
Il cammino della quaresima, preso sul serio, è davvero impegnativo; ci chiede tante energie. Ci chiede un po’ di sforzo, un po’ di sacrificio e di avere delle attenzioni che comunemente non abbiamo, come se ognuno volesse scoprire una dimensione nuova, alla quale però appartiene la conversione, quindi la grazia di Dio.
S. Pio scriveva:
Le fitte tenebre mi coinvolgono tutto; una forza potentissima di essere quasi invisibile mi disperde; e mentre ritento a raccogliere i residui dispersi delle mie facoltà, tutto torna a smarrirsi e viene come stritolato ed annullato dal tutto. Mio Dio! Sono a te in profonda confusione; a te che sei quel che sei. Io … nulla meschino, degno solo del tuo disprezzo e della tua commiserazione, ma … rifletto che ho da far col Dio, che è mio. Ah! Sì. E chi vuol contendermelo?…io mi domando se nel mio credere senza sentirlo vi( …) sia mancanza a quell’uniformità voluta da Dio. Ahimé ! i sentimenti che si suscitano in me in proposito toccano i due estremi, si cozzano fra loro, e riducono l’anima quasi nell’impotenza di reagire, tenendola nel più duro martirio, e di giorno e di notte. ( Ep. I, 1105)
Riflessione:
Abbiamo a che fare con Dio, abbiamo a che fare con colui che ci ha creati, con colui che ci ama, con colui che vuole portarci a salvezza. Anche noi tante volte siamo in confusione, anche noi dobbiamo riconoscerci meschini, degni solo di disprezzo da parte di Dio. Dio dovrebbe commiserarci e invece ci ama e vuole che ci lasciamo amare. Quell’esame di coscienza che spesso ci viene proposto in tempo di quaresima, quell’attenzione ai nostri peccati per fare spazio alla grazia di Dio che perdona, che salva. Dinanzi a Gesù possiamo già iniziare ad aprire il nostro cuore, comunicare i nostri sentimenti più profondi, chiedere una parola di conforto.
Dagli scritti di Padre Pio:
Cosa avviene in me? Dio dove potrò trovarlo? Il mio Dio dov’è? È un cerchio illimitato che mi riduce sempre al principio come al fine … Dio mio, padre mio, io non ne posso più. Mi sento morire di mille morti in ogni istante. Mi sento divorare da una forza misterioso, intima e penetrante che mi tiene sempre in dolce, ma dolorosissimo deliquio. Che cosa è mai questo? Lamentarsi con Dio di tanta durezza, è colpa? E se è colpa, come si fa a soffocare questi lamenti quando una forza, a cui non si può resistere, mi spinge senza poterla frenare in nessun modo, a lamentarmi col dolce Signore ? (Ep. I, 1105/1106)
Riflessione:
Quante volte ti sarà capitato di non riuscire ad avvertire la presenza di Dio, la presenza del suo amore. E quante volte ci siamo sentiti un po’ smarriti. Il nostro riferimento è Lui. Scrive S. Pio:” Cosa avviene in me…” Questa profondità di colloquio spirituale tra S. Pio e Dio è davvero un miracolo. S. Pio, pur non avvertendo questa presenza, la incontra. E’ un’esperienza che a volte anche a noi capita di fare ; questa ricerca di Dio così sofferta e nello stesso tempo c’è già la serenità, c’è già la pace. Non è colpa di nessuno: è la nostra umanità che deve convertirsi, che deve tendere alla perfezione. E’ la nostra umanità che deve accogliere la divinità e trasformarsi in divino. Proviamo a non lamentarci con Dio, proviamo ad invocarlo, proviamo a seguirlo dopo averlo ascoltato, proviamo un’autentica comunione con Lui.
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In questo discorso di una riflessione su noi stessi, sulla nostra realtà, sulla nostra conversione più autentica troviamo sempre il peccato in agguato, troviamo sempre la tentazione dello scoraggiamento, la tentazione del non provarci nemmeno. Ci sentiamo quasi sempre in torto nei confronti di Dio ma c’è bisogno di abbandonarci a Lui, come Lui dalla croce si è abbandonato al Padre ed è proprio in quel momento che ha ritrovato il Padre. In certi momenti c’è bisogno di affidarsi al Padre. S. Pio scriveva :
Dio mio, non voglio, no, disperare: non voglio, no, far torto alla vostra infinita pietà, ma sento in me, non ostante tutti questi sforzi di confidenza, vivo, chiaro, il fosco quadro del vostro abbandono e del vostro rigetto. Mio Dio, io confido, ma questa confidenza è piena di tremori … Oh Dio mio! Se potessi anche in minimo afferrare che questo stato non sia un vostro rigetto e che io in questo non vi offenda, sarei disposto a soffrire centuplicato questo martirio. (Ep. I,1264)
Riflessione:
Dobbiamo renderci conto che ogni nostro peccato è un’offesa a Dio. Il dolore di aver offeso Dio, di aver oltraggiato l’amore di Dio, questo deve farci soffrire. Questa sensazione di inadeguatezza dinanzi a Dio che S. Pio addirittura definisce “rigetto”, quando manca la comunione con Dio ci si può sentire rigettati da Dio, anche se Dio non farebbe mai una cosa del genere ad un proprio figlio, ma questo dipende da noi, da ciò che sente il nostro cuore, da ciò che comprende la nostra anima. Ma S. Pio, che aveva questa profonda esperienza spirituale nel rapporto con Dio, capisce che il dolore non è segno dell’essere disprezzati da Dio, che il dolore è il segno di ciò che lui può offrire a Dio e allora per questa comunione è pronto anche a soffrire cento volte di più, perché la sofferenza non è il segno della vergogna o il segno dell’ essere abbandonati da Dio, ma è l’occasione per confidare maggiormente in Lui; è la situazione per divenire offerta, come Gesù è stato offerta su quell’altare della croce, vittima di sacrificio. Qualche volta anche noi dobbiamo saperci sentire offerta, vittima di sacrificio, quindi non un lamento, non una ribellione.
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In questa esperienza del dolore per amore troviamo S. Pio spesso consapevole protagonista. Non è certo un caso che Gesù abbia scelto proprio lui per imprimere visibilmente i segni della sua passione. S. Pio ha saputo offrire se stesso, ha saputo sentirsi dono a Dio. Lui si riconosceva poca cosa, ma chissà che preziosità agli occhi di Dio. Il suo cuore era sempre teso a Dio, lui stesso lo dice. Questi erano i tratti visibili della sua santità, una santità di cui certamente non era consapevole, ma tutti se ne accorgevano. Solo lui si sentiva questa umile creatura rigettata da Dio, addirittura, dove tutti intorno lo riconoscevano santo e accorrevano a lui. S. Pio scriveva :
Ho lasciato tutto per piacere a Dio e mille volte avrei data la mia vita per sugellare il mio amore a lui, ed ora, o Dio, quanto mi riesce amaro, nel sentire nell’intimo del cuore che egli è irritato contro di me, non posso, no, trovare pace alla mia sventura. Il mio cuore tende irresistibilmente verso il suo Signore con tutto il suo impeto, ma una mano di ferro mi respinge sempre … figuratevi un povero naufrago, abbracciato ad una tavola del bastimento, cui ogni fiotto ed ogni folata di vento minaccia di annegare … e questo stato mi fa soffrire persino nella più alta notte, quando più che mai mi sforzo di trovare il mio Dio. (Ep.I,1264)
Riflessione:
E’ difficile, forse impossibile comprendere questo stato d’animo, quasi una condizione di perdizione, quel non sentire Dio e quel cercare Dio, quell’incontrare Dio sempre e non accorgersene. Mistero della fede! Quell’essere così legati e innamorati di Dio, ma non accorgersi della sua presenza, perché a volte Dio ci chiede la fede più pura, più assoluta, senza sentire, a volte anche senza comprendere. Quel che conta è esserci, l’essere in Dio. La preziosità del nostro essere in Dio, del nostro tendere costantemente a Lui, anche quando non ci accorgiamo della sua presenza, anche quando non percepiamo il suo amore ma sappiamo che è sempre infinito per ognuno di noi.
Tratto dall’ Epistolario I, II edizione anno 1973, a cura di Melchiorre da Pobladura e Alessandro da Ripabottoni.
Le riflessioni sono del nostro Parroco don Emilio Lonzi.
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